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Piazza Armerina. Covid19: la storia di Giulio

Piazza Armerina. Covid19: la storia di Giulio

Giulio Santoro, piazzese, stimato professionista, aveva sottovalutato la subdola capacità di questo virus di infiltrarsi nella nostra vita e stravolgerla. Aveva rimandato, con una buona dose di superficialità da lui stesso riconosciuta, la più semplice delle operazioni di prevenzione: il vaccino. Ricoverato in ospedale, strappato per fortuna solo per un periodo ai suoi affetti, al suo lavoro, alla sua quotidianità, ha trovato, ormai sulla via della guarigione, la forza di raccontare questa brutta avventura che lo ha visto sfiorare un epilogo molto più tragico.

In quei giorni Giulio, superati i momenti più critici, ha cercato di dare un senso a ciò che gli ha stravolto, mettendola a rischio, la propria vita. “Sono ancora in ballo – scrive in un post – troppo aderente al fatto bruto, troppo dentro la ‘cosa’, per riuscire già a trovare un senso a tutto ciò. Eppure cerco un senso, dal letto in cui mi trovo, nell’ossigeno che mi alimenta, nelle urla che arrivano dalle altre stanze, nella disperazione che mi toglie il sonno“.

Sono queste le parole, scritte da un uomo forte, uno sportivo, e, solo chi conosce Giulio sa quanto gentile nei modi e riflessivo. Dovrebbero far riflettere sulla devastante azione del virus che, se vissuto ricoverato in un letto di un nosocomio, oltre a danneggiare il corpo, mette a dura prova anche la tenuta mentale.
Mi ha ‘buttato’ in un letto di ospedale – continua Giulio – mia moglie e mio figlio lontani. Vero è che sto riorganizzando le mie priorità, ma principalmente mi sto alimentando di qualsiasi cosa possa aiutarmi: le battute degli infermieri, del personale ospedaliero, i verdetti medici, i messaggi degli amici, le preghiere che mi avete dedicato, ogni sintomo di miglioramento del mio respiro”.

E poi ci svela alcuni commoventi particolari sulla sua degenza in ospedale.
“Il mio respiro, finalmente è tornato mio. Ora comando io, ma per giorni non è stato così. Mi sono permesso un pianto, solo dopo venti giorni di questa follia. Prima non ho potuto, non ho saputo farlo. Ho represso, ignorato e pensato ad altro, ma il pianto era lì, di paura.
E quando è arrivato, nella sua tragica teatralità, mi sono sentito un bambino impotente, in balìa di qualcosa di troppo grande da poter gestire da solo”.

L’ambiente asettico dell’ospedale, in cui immaginiamo Giulio in quei momenti, deve aver contrastato non poco con i tumultuosi e disordinati pensieri densi di paura e speranza.

“Ho avuto una paura folle, non di morire, non quella che la mia vita fosse giunta al suo termine massimo, ma la paura di lasciare soli un figlio e una moglie ancora troppo giovani. Con la paura e dare un dolore ai miei genitori per cui sono ancora un figlio da coccolare”
Inoltre c’è spazio anche per una riflessione lucida, ragionata, un messaggio nella bottiglia che proprio per questo suo valore sociale, come tutta la storia che vi abbiamo raccontato, abbiamo voluto riproporvi.
“Dovrei dirvi – sottolinea Giulio – che se mi fossi vaccinato in tempo non sarei qui da venti giorni e dovrei invitarvi a non esitare a farlo. So che ognuno di noi ha bisogno di fare il proprio percorso, per cui posso solo augurarmi che questo vostro percorso tenga presente della mia esperienza, come vostro amico o conoscente”

Oltre a rivolgere i migliori auguri a Giulio e alla sua famiglia credo che aver messo a vostra disposizione la sua storia sia stato un atto di generosità ne confronti dei suoi concittadini, un gesto di generosità che chiunque non si sia ancora vaccinato può fare recandosi al centro vaccinale per immunizzarsi dal covid19. Grazie Giulio a nome di tutta la collettività piazzese.

 

 

 

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