Lettera aperta per il Presidente del Consiglio prof. Giuseppe Conte
Esimio Presidente,
periodicamente sono costretto a disturbarLa per raccontarle fatti che direttamente o indirettamente La possono riguardare nella sua veste di Presidente del Consiglio dei Ministri e, nel contempo, ringraziarLa per i riscontri datemi. Oggi, che il nostro Paese ha assunto nei confronti dell’Unione europea l’impegno di portare a termine importanti riforme,vorrei richiamare la sua attenzione su un formale impegno assunto dal nostro Parlamento nel lontano 1970 esattamente quando Lei aveva solo sei anni. Non si tratta di una favola che allora si poteva raccontare ai bambini, bensì di un impegno formale assunto dal nostro Parlamento, rivisitabile negli atti della Camera dei Deputati dal novembre 1969 al gennaio 1970 e in quelli del Senato del mese di maggio del 1970.
Oggetto: La creazione delle regioni a statuto ordinario. Anche allora , come purtroppo spesso continua ad accadere, la situazione economico-finanziaria non era tra le migliori . Il nostro Parlamento da sempre sa aggirare le situazioni difficili assumendo impegni che sa di non dovere rispettare. A coloro i quali sostenevano che i nuovi gravi costi avrebbero potuto compromettere la realizzazione dello stesso programma del Governo, venivano date formali assicurazioni.
E proprio da un sommario controllo dei testi stenografici delle sedute di Camera e Senato, indicate più sopra, risulta che nella seduta della Camera del 14 gennaio 1970, l’on.Mammi braccio destro dell’On.Ugo La Malfa, leader del Partito Repubblicano, così si espresse: “ che le province siano enti artificiosi, che siano senza razionalità lo possiamo dire confortati dal parere di illustri studiosi di diritto amministrativo” e “ la provincia italiana, ancora oggi, se la si esamina con occhio geografico, appare un ente inesplicabile”, “ l’unico paese delle nostre dimensioni, con quattro livelli elettivi, sarebbe appunto l’Italia. Altri paesi non ve ne sono.”
Questa storia ebbe inizio negli anni ‘60 e l’on Ugo La Malfa, fautore della riforma, a quanti sostenevano che la nostra economia non era nelle condizioni di sopportare il relativo onere, rispondeva “che con l’approvazione della legge si poneva fine alla sovrastruttura della provincia ed i comuni avrebbero avuto come interlocutore solo la regione”
Allora le province italiane erano 94 ed oggi oltre 110. Poichè tra le riforme sarà certamente ripresa in considerazione anche quella già tentata invano da Berlusconi e Renzi, la riforma del titolo V, sarebbe opportuno valutare l’opportunità e la convenienza rivedere in toto l’attuale struttura amministrativa dello Stato, anche alla luce delle negative esperienze fatte dall’irregolare gestione di quasi tutte le regioni, coinvolte spesso in gravissimi fatti di coinvolgimento con organizzazioni di stampo mafioso.
Infine rivedere lo “status speciale” riconosciuto a quattro regioni, Sicilia compresa, in un momento particolare della nostra vita politica, momento che non esiste più da oltre cinquant’anni. Con gli auguri di buon lavoro.
Angiolo Alerci