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“La pace della Pasqua”: il messaggio del vescovo della Diocesi di Piazza Armerina Mons. Rosario Gisana

“La pace della Pasqua”: il messaggio del vescovo della Diocesi di Piazza Armerina Mons. Rosario Gisana

La festa di pasqua è un momento gioioso: una consegna di relazioni nuove nel rigoglio di una pace che auguriamo anzitutto alle nostre famiglie, per le quali speriamo che si implementino aperture significative di riconciliazione; al territorio in cui viviamo e investiamo, con l’auspicio che questa volta sia l’occasione buona per un radicale cambiamento della nostra mentalità; alla nazione in cui si consuma il nostro destino, affinché ciascuno possa stabilire prospettive e realizzare sogni, e al mondo il cui ordinamento segue un istinto atavico di fratellanza universale. L’identificazione della pasqua con la pace è iscritto nella memoria di una religiosità che va oltre gli aspetti confessionali. Questi ultimi si limitano in fondo a confermare, o meglio a rivelare quello che l’umanità custodisce nel suo patrimonio genetico.

Quando l’autore della lettera agli Ebrei in 2,11 afferma che «tutti provengono da una stessa origine (ex henós pántes)», allude quasi certamente a quell’Adamo o umanità nella quale è entrato a far parte anche colui che noi confessiamo «principe della pace» (Is 9,5): Cristo Gesù. La condizione primigenia di Adamo era edenica, pervasa cioè di quell’irenismo che si deve alla relazione con Dio, assidua e quotidiana: l’umanità in Noè camminava con lui (cfr. Gen 6,9). Occorre pertanto che l’umanità di oggi, alla stregua dell’umanità di ieri, si persuada che tornare a camminare con Dio è condizione per ripristinare la pace della pasqua.

Prima di chiedersi cosa sottintende l’espressione “pace della pasqua”, è importante riflettere sulle modalità di realizzazione di questa pace. Papa Francesco, in occasione della 52° giornata mondiale della pace, spiega che essa riguarda la «conversione del cuore e dell’anima», cioè è coinvolgimento di tutta l’esistenza in una dimensione strettamente relazionale. La pace è relazione, nel senso che tocca la parte più intima di noi stessi (cuore e anima), lasciando che da essa si esprimano decisioni significative in favore dell’altro. Chi ama la pace è di animo nobile, generoso, altruista, è una persona – direbbe Mt 5,9 – che desidera ardentemente costruire la pace (eirēnopoiós). Affinché essa possa diventare criterio di incontro tra di noi, nelle nostre famiglie, nelle occupazioni più variegate (lavoro, relax, confronto), nelle grandi occasioni di scambi nazionali o internazionali, è necessario che si percepisca una duplice urgenza: la pace è l’unica risposta possibile alla salvaguardia del genere umano ed essa reclama con forza la partecipazione attiva di tutti, nella consapevolezza che su quest’aspetto siamo tenuti a crescere con umiltà e discrezione. Tali virtù rientrano nella sfera del buon senso e il loro esercizio dipende dall’armonia del cuore con l’anima: un accordo virtuoso che si attua, se il genere umano decide di camminare con Dio. Sappiamo infatti che prescindere dalla sua esistenza significa inoltrarsi nell’oblio della nostra identità primigenia, dalla quale risulterebbe disordine e confusione: uno stato caotico che non distingue tra razionale e irrazionale.

Il legame del cuore con l’anima, sotto l’egida del vincolo della pace, induce all’interessamento altrui. A partire anzitutto dall’accettazione pacificata di noi stessi. Il rapporto con la propria persona, che vuol dire consapevolezza dei nostri limiti, inattesi e preziosi, dei nostri pregi, importanti e vitali, porta a capire che il senso dell’esistenza passa attraverso quel grado di tenerezza che fonda aperture sincere, nel ricordo di quanti ci hanno voluto bene e di coloro che oggi ci permettono di tonificare, con il loro affetto, desideri ed aspirazioni. Tale condizione, che può essere capita nella purezza del dono, dipende da un esercizio che per alcuni può anche essere estremo: paralizzare, con atto veemente, la forza inasprente del proprio narcisismo. Occorre ammettere che esso non aiuta a maturare quel buon senso, alveo vitalizzante della pace, che produce umiltà e discrezione.

La pace con noi stessi diventa poi preambolo di accettazione altrui. Questa seconda modalità di pace riguarda più specificamente l’incontro con l’altro, rispettoso, aperto, accogliente. La pace infatti è ascolto di quella parte di verità che l’altro custodisce e che noi non possediamo. Imparare ad accettare gli altri significa non soltanto affermare la loro presenza, necessaria per la nostra sussistenza, ma anche raccogliere quel tassello di verità che ci aiuta alla ricomprensione della nostra identità. Ed infine, la pace riguarda anche tutto ciò che ci circonda, considerando che quello che abbiamo è frutto dell’elargizione gratuita di un dono. È importante, a tal proposito, capire che quello che definiamo natura è creazione, cioè spazio vitale di Dio, o meglio quell’ambito in cui vediamo attuarsi un particolare «progetto dell’amore Dio – ribadisce Papa Francesco nell’enciclica Laudato sii al n. 76 – dove ogni creatura ha un valore e un significato». Ciò significa che, oltre al rispetto per la creazione, nell’accompagnamento della sua crescita e salvaguardia, è oltremodo urgente agire con responsabilità, perché essa continui ad appellare e significare la presenza di Dio.

Queste modalità di pace interessano la festa di pasqua. Da qui il senso dell’espressione “pace della pasqua”, a partire dalla quale intuiamo che pasqua è ricordo di pace, poiché essa rammenta il compimento di fatti che hanno ristabilito, nel caos delle relazioni umane, un ordinamento giusto delle cose. Alludiamo, per brevità, a due fatti importanti che hanno prodotto, nel tempo della pasqua, una pace riconciliativa, generativa, ordinatrice: la liberazione d’Israele dalla schiavitù d’Egitto con il ripristino dell’alleanza (cfr. Es 2,24-25; 20,1-21) e il dono dello Spirito Santo ai discepoli, sfiduciati e desolati, da parte del Cristo risorto (cfr. Gv 20,16-23). Entrambi i fatti costituiscono per noi una conferma sul valore che ha l’annuncio di pace nell’evangelizzazione. Lo stesso Gesù, inviando i suoi discepoli a predicare il regno di Dio, li educa sul modo come presentarsi agli interlocutori.

Il dono della pace, che è sicuramente armonia, accordo, riconciliazione, è soprattutto memoriale di ciò che Dio sta operando per l’umanità dal momento in cui il Cristo è risorto. Sulla base di quel patto mai abrogato sul Sinai, Dio ha voluto una nuova condizione di vita: nella compagnia dello Spirito di Gesù risorto, la pace, rivestita dalle misure della pasqua, assurge a criterio unico per un giusto riordinamento. L’accoglienza pacifica tra i popoli, che prende le mosse dall’accoglienza, vicendevole e feriale, di noi, confessori della potenza di Cristo, è possibile se le nostre relazioni diventano pasquali, cioè se accettiamo di attuarle secondo alcuni parametri di pace, intuiti splendidamente dall’apostolo: «Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo […], per mezzo della croce, distruggendo in sé stesso l’inimicizia» (Ef 2,14.16).

 

+ Rosario Gisana

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